I nuovi adolescenti e il difficile slalom tra società e compiti evolutivi

Essere adolescenti oggi può sembrare più facile rispetto al passato per le risorse tecnologiche e sociali che sembrano a loro orientate. Ma stare al centro dell’attenzione degli altri non è sempre positivo. Lo sguardo della società, che attraverso i suoi adulti rispecchia gli adolescenti, ha una forte influenza sulle modalità con cui essi realizzano i compiti propri di questa loro fase di vita.

Solo a partire dal diciottesimo secolo, nel mondo occidentale, comincia a fare la sua apparizione un concetto di adolescenza abbastanza simile a quello che consideriamo valido oggi e, da allora, si è fatto strada nella società in modo piuttosto lento.

Perché questo esordio lento? La ragione sta nel fatto che, almeno fino al tardo seicento, anche i bambini non erano considerati soggetti con proprie caratteristiche e autonomie. Infatti a livello sociale avevano visibilità solo gli adulti i quali non investivano sui bambini energie affettive o strategie educative. Quindi è stato fondamentale avere, nel pensiero dell’epoca, un’idea dei bambini come esseri dotati di individualità e con esigenze e bisogni affettivi e psicologici specifici. Il nuovo modo di considerare chi non fosse adulto, ha poi tratto giovamento dai grandi cambiamenti avvenuti nel settecento a livello di trasformazioni economiche, tecnologiche, medico-sanitarie, intellettuali che, nel tempo, hanno portato, a un modo diverso di rapportarsi fra genitori e figli.

Solo dopo lo sviluppo di un’idea nuova di bambino è stato possibile pensare che esistessero anche gli adolescenti ed è nato così l’interesse per questa fase della vita con studi e ricerche che sono cresciuti piano piano nel tempo, fino all’esplosione degli anni più recenti.

Il rapporto ambivalente tra società, famiglia e l’adolescente odierno

Parallelamente, nella società sono avvenute trasformazioni della famiglia, graduali ma profonde, che hanno avuto una influenza sostanziale su infanzia e adolescenza. Infatti, a partire dalla sua configurazione antica e patriarcale, in cui tre o più generazioni si ritrovavano a vivere sotto lo stesso tetto o in luoghi molto vicini , la famiglia arriva oggi alla cosiddetta struttura nucleare ovvero formata dalla coppia genitoriale e dai figli e, sempre più frequentemente, dal figlio unico. Più di recente sono comparse, e divenute sempre più numerose, le “famiglie ricostruite” composte dai figli, dai genitori separati ed eventuali nuovi compagni e compagne di questi ultimi con relativi figli. Tutto ciò porta la famiglia a cambiare nell’assetto organizzativo ed affettivo.

La famiglia attuale è centrata sugli affetti e adotta un sistema educativo, basato sull’amore e sulla comprensione reciproca, in cui i figli devono poter esprimere se stessi. Nella famiglia tradizionale, invece, il mandato educativo era quello di rendere i figli rispettosi dei valori e delle norme delle istituzioni. Si è passati dal “tu devi obbedire” al “tu devi capire” le ragioni dei tuoi genitori. Questa è la cosiddetta famiglia affettiva che a livello educativo si è auto-orientata alla realizzazione dei bisogni dei figli, il cui unico compito e scopo sarebbe quello di dover essere felici.

Come riesce a fare ciò la famiglia affettiva? La modalità consiste nel ridurre, in modo sostanziale rispetto alla famiglia patriarcale, il grado di frustrazione che i figli possono provare durante il proprio percorso evolutivo. Così oggi sempre più spesso accade che i ragazzi affrontino la complessità dell’adolescenza senza avere vissuto una minima esperienza di sofferenza. Ciò comporta che i nuovi adolescenti non sono molto abituati e attrezzati ad affrontare la frustrazione e il dolore emotivo. Così, quando si trovano ad affrontarli, mostrano evidenti comportamenti d’intolleranza verso questi aspetti della vita interiore.

Il mutato rapporto con la scuola e con l’economia, i nuovi bulli e i nuovi consumatori

Anche la scuola è stata coinvolta in questa “prevalenza degli affetti” e viene vissuta come un luogo di socializzazione in cui viene richiesto, anche dai genitori, che i ragazzi siano accolti e compresi nei timori, nei conflitti e nelle angosce tipiche dell’età. La scuola oggi è quasi più un luogo dove è centrale essere sé stessi come persone che assumere il solo ruolo di studenti. Questo consente alle nuove generazioni di poter basare il loro rapporto con gli insegnanti su una conflittualità diversa dal passato, più centrata su concetti come: Tu mi annoi” oppure “Non m’interessa”. Questa modalità poi può travasarsi anche sui confronti e conflitti con altri adulti di riferimento, come per esempio i propri allenatori sportivi.

Le nuove generazioni portano con sé il desiderio di non essere invisibili alla loro comunità di appartenenza, di contare qualche cosa. II successo personale è la chiave su cui si gioca questa visibilità, un successo riconosciuto nello sguardo dell’altro che diventa così una nuova dipendenza.

Il bullismo e altri comportamenti non legittimi degli adolescenti di cui tanto si parla oggi potrebbero anche essere visti come comportamenti legati al bisogno di essere visibili a ogni costo. Rispetto a ciò la nostra “società dell’immagine”, che proclama come valori la rendita, la produttività, la prestazione e il successo, deve assumersi una parte di responsabilità perché essa contribuisce a un clima di antagonismo e tensione per la buona riuscita dei figli. Si impegna invece poco a sostenere i propri cittadini adulti nel lavoro di favorire in modo neutrale l’autonoma realizzazione dei cittadini più giovani. Spesso, inoltre, essa propone agli adolescenti in modo svalutante e negativo alcuni aspetti della natura umana come debolezza, stanchezza, malattia, vecchiaia e morte, sfavorendo così anche la creazione di legami di solidarietà intergenerazionale.

Gli adolescenti sono anche al centro dell’attenzione delle aziende perchè sono visti come consumatori ideali. Essi sono l’oggetto più studiato dalle ricerche di mercato orientate ad un tipo di consumo inteso non come uso di beni e strumenti, ma come modo per definire la propria identità, per riconoscersi e che rende visibili a livello sociale perché diventa in modo di esprimersi e di comportarsi. Per fare ciò le aziende puntano su prodotti con un tempo di uso limitato, che si devono assolutamente avere, da cambiare frequentemente per stare nelle tendenze. Ciò può portare gli adolescenti a decidere basandosi sempre meno su se stessi, sui propri reali bisogni, spingendoli ad accettare e ad adeguarsi, in modo poco consapevole, a una idea di gioventù e di sé proposta per loro da altri.

La sfida dei compiti evolutivi chiari e stabili in contesto ormai considerato “liquido”

L’adolescenza è quel periodo unico della vita in cui avvengono importanti e profondi cambiamenti per portare a una maturazione generale della persona. Per quanto detto fino a qui, i ragazzi oggi devono affrontare tali cambiamenti in un contesto non facile perché poco stabile e coerente che essi affrontano essendo caratterizzati da:

    • minore loro tolleranza alle frustrazioni e al dolore psicologico;
    • peso di tante aspettative non sempre accompagnate da autostima e senso sicurezza personale adeguati proprio per l’età;
    • paura di mettersi in gioco, di fallire e contemporanea stimolazione verso interessi, mode e informazioni in maniera veloce, accelerata il tempo della sensazione, portano a una certa incostanza di comportamento;
    • centratura sull’ideale dell’io che porta a voler essere delle belle persone più che impegnati nel conflitto con le regole sociali (Super Io freudiano)
    • forte tendenza a limitare la propria responsabilità rispetto a fatti o comportamenti;
    • bisogno elevato di relazioni in cui rispecchiarsi rispetto al successo sociale e al valore di sé. valorizzazione del sé.
    • grandi capacità multitasking, cioé di seguire più aspetti contemporaneamente.

I compiti evolutivi da realizzare, ovvero i grandi cambiamenti a cui gli adolescenti sono chiamati, rimangono quelli “classici” di questa fase di vita, che sono riassumibili in quattro macro classi:

Separarsi dal proprio sé infantile e dalle modalità relazionali che caratterizzavano l’infanzia per individuarsi dalle figure genitoriali.

Creare una nuova immagine mentale del proprio corpo con caratteristiche definite a livello di identità di genere e sessuale.

Costruire il proprio set di valori per definire sempre meglio la propria identità personale.

Costruire nuovi legami sociali e affettivi per allentare il legame identitario con la famiglia a favore di un ruolo identitario personale e riconosciuto nella società.

Come si vede una seri di compiti nella direzione di una definizione chiara e stabile della propria identità da realizzarsi in un contesto estremamente poco stabile, ma dinamico, veloce, instabile. Stiamo chiedendo forse agli adolescenti di costruire la propria statua personale su un terreno di sabbie mobili?

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